Non so a voi, ma a me è parso che l’inverno appena trascorso sia durato tre anni: ho percepito l’estate come talmente lontana che, adesso che è finalmente qui dietro l’angolo, posso sopportare con un sorriso anche la rinite allergica. Rieccomi quindi qui sul blog a sognare di viaggiare ed ammirare dal vivo cinque celebri opere, delle quali vi racconto qualche curiosità. N.B. tutti i disegni di questo post sono stati realizzati per Gribaudo Editore e pubblicati sul primo volume di Giochi da Grandi (2021); se l’estate scorsa avete completato tutti i giochi di enigmistica contenuti nel testo, non disperate: per tenervi compagnia in spiaggia anche quest’anno, è in arrivo a brevissimo Il mio quaderno dei compiti delle vacanze: praticamente, il secondo volume di Giochi da Grandi! DAVID DI MICHELANGELO (1501-1504, Galleria dell’Accademia, Firenze) C’è stata una volta in cui il David, così come molte altre opere del nostro patrimonio artistico, fu nascosto dalla vista di chiunque. In pochi sanno che uno dei punti della propaganda fascista era la protezione delle opere d’arte italiane allo scoppio del secondo conflitto mondiale: pochi giorni prima dell’entrata ufficiale dell’Italia in guerra, il direttore delle Gallerie Fiorentine ricevette disposizioni direttamente dal Ministero per la messa in sicurezza delle opere d’arte. Poco si poteva fare per gli affreschi, destinati a creparsi per le vibrazioni delle esplosioni durante i bombardamenti, a parte fortificare le fondamenta degli edifici. Ma le opere pittoriche e scultoree dovevano essere protette: così il David, come molte altre statue, fu avvolto in una struttura metallica e circondato da un’ogiva in cemento e muratura per poi essere riportato alla luce alla fine del conflitto. A questo link è possibile vedere una fotografia dell’epoca; lì dentro c’era il buon vecchio Davidone, nello stesso luogo in cui è conservato oggi: io lo trovo un po’ inquietante, voi no? DISCOBOLO DI MIRONE (455 a.C., copia Lancellotti, Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo, Roma) ll Discobolo di Mirone è stata un’opera in bronzo enorme ed imponente, andata perduta come massima parte della statuaria greca per necessità di materia prima (le statue venivano spesso fuse e il bronzo riutilizzato); sono scampate alla fusione quelle opere che, per un motivo o per l’altro, erano state perdute, come ad esempio i celebri bronzi di Riace, recuperati in mare agli inizi degli anni 70. Quello che ho disegnato per Gribaudo Editore non è quindi il vero Discobolo di Mirone, ma una copia in pietra di epoca romana che nessuno può sapere quanto sia fedele all’originale greco. È certo però che la copia romana sia molto più piccola. Perché? Perché se Lancellotti, autore della copia in pietra, l’avesse scolpita in dimensione originale, il braccio sollevato si sarebbe spezzato per il peso del materiale. Questa storia mi è venuta in mente e l’ho raccontata per caso in aula mentre facevo lezione di anatomia a scuola qualche giorno fa. Ho pensato quant’è strano imparare qualcosa da piccoli e dimenticarsi di saperlo; poi quella cosa rispunta fuori così, all’improvviso, a ricordarci che gli anni di studio alla fin fine così inutili come pensavamo da piccoli non sono stati! AMORE E PSICHE DI ANTONIO CANOVA (1787-1793, Museo del Louvre, Parigi) Quando Antonio Canova ricevette da un colonnello inglese l’incarico di realizzare Amore e Psiche era già molto conosciuto ed apprezzato per le sue opere sia scultoree che pittoriche; ad opera realizzata però, fu impossibile per il colonnello John Campbell affrontare le spese di trasporto del bellissimo marmo, che rimase nello studio del Canova in attesa di una collocazione. Appena diffusasi la voce che il meraviglioso gruppo scultoreo era rimasto in Italia nello studio di Canova, immediatamente il posto fu preso d’assalto da moltissimi curiosi e appassionati d’arte che desideravano ammirarlo, disturbando l’artista a lavoro su nuovi capolavori. Fu così che Canova fu costretto a spostarsi momentaneamente, e di nascosto, nello studio di un collega. Questo finché l’opera, oramai celeberrima, non fu acquistata da re Gioacchino Murat. Quando la Corona Francese confiscò i beni di quest’ultimo, Amore e Psiche fu spostata al Museo del Louvre, che ancora oggi è la sua casa. È questa una di quelle opere che, prima o poi, vorrei tantissimo ammirare dal vero! E voi avete visto Amore e Psiche? Cos’altro vi ha rapito il cuore nel Museo del Louvre? VENERE DI MILO (attribuita a Alessandro di Antiochia) (130 a.C., Museo del Louvre, Parigi) Per quale motivo alcune opere raggiungono una tale fama? Beh, nel caso della Venere di Milo possiamo convenire che la ragione sia la sua indubbia bellezza: fu rinvenuta da un contadino sull’isola greca di Milo, recisa in due parti e priva degli arti superiori, ed acquistata dall’ufficiale della marina Olivier Voutier che ne aveva intuito il valore, per essere poi portata in custodia al Louvre. In questo caso però gioca un ruolo fondamentale anche una certa propaganda che il governo francese ne fece a riguardo: nel XIX secolo, infatti, la Francia possedeva la famosa Venere de’ Medici di Cleomene di Apollodoro, anch’essa risalente al periodo ellenistico, portata via all’Italia da Napoleone. Quando la Francia dovette restituire la scultura all’Italia investì di ogni attenzione pubblicitaria la Venere di Milo, per limitare i danni derivati dalla sua perdita. Quindi su, dai, la Gioconda non l’abbiamo più riavuta, ma la bella Venere de’ Medici possiamo ammirarla agli Uffizi. La Venere di Milo, invece, è ancora a casa sua al Museo del Louvre... sì, insieme alla Gioconda. NIKE DI SAMOTRACIA (attribuita a Pitocrito) (200-180 a.C., Museo del Louvre, Parigi) Quando sui miei social ho postato la mia copia disegnata di Amore e Psiche del Canova chiedendo ai lettori cosa hanno amato tra le opere custodite al Museo del Louvre di Parigi, qualcuno mi ha ricordato della bellissima Nike di Samotracia, una meravigliosa opera scultorea in marmo pario, un marmo greco particolarmente pregiato per la sua grana molto fine. Non sapevo però che quest’opera molto celebre, dopo essere rimasta nella sua postazione originaria a Samotracia, per molto tempo scomparve in maniera misteriosa. Fu ritrovata durante la seconda metà del XIX secolo, rotta purtroppo in diversi pezzi, sempre sull’isola di Samotracia. Immediatamente la Francia si propose di acquistarla con l’idea di esporla presso il Louvre; ed è proprio lì che, dopo un lungo viaggio, la Nike di Samotracia è stata ricomposta. Il Museo del Louvre è da allora sempre stato la casa della scultura, eccetto per uno spostamento obbligato per proteggerla dai bombardamenti del secondo conflitto mondiale presso uno dei castelli della Valle della Loira. Una soluzione differente rispetto alla protezione in muratura toccata al David. La dea Nike era la protettrice non solo del conflitto militare (è in effetti stata realizzata come celebrazione di una vittoria bellica, raffigurata nell’atto di posarsi su una nave a protezione del popolo greco nel momento della battaglia) ma era anche il simbolo delle vittorie sportive (motivo per cui un noto brand di abbigliamento sportivo ha adottato il suo nome e possiede inoltre un logo che è poi la stilizzazione di una delle ali della statua). La storia della Nike di Samotracia è talmente interessante da dolermi il non rispecchiarmi in nessuno dei valori che comunica: non sono affatto una persona combattiva e, tantomeno, sono una persona sportiva. Voi, invece, vi ci ritrovate? Qual è l’opera che pensate vi rispecchi di più? Conoscevi già questi aneddoti? Questi contenuti sono stati originariamente pensati per il mio profilo Instagram; se ne hai voglia, vieni a trovarmi anche là! CATEGORIE: STORIA DELL'ARTE
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Per leggere la prima e la seconda parte dell'articolo, clicca qui (prima parte: le tecniche grafiche) oppure qui (seconda parte: le tecniche cromatiche). LE TECNICHE SCULTOREE Cos'è la scultura La scultura è l’arte di creare volumi o forme plastiche a partire da materiali duri come la pietra e il legno o materiali facilmente modellabili come l’argilla e la cera. Ogni materiale, in base al suo livello di durezza, ha specifici attrezzi da lavoro; alcuni materiali, come l’argilla, possono acquisire durezza se sottoposti a cottura, dando origine alla ceramica. Altri invece, come i metalli, sono sottoposti a fusione e acquisiscono durezza in fase di raffreddamento. Classifichiamo quattro tipi di opera scultorea: - lo stiacciato, un rilievo di poco sporgente rispetto alla superficie, caratterizzato da volumi molto delicati; - il bassorilievo, in cui il distacco dalla superficie appare più evidente rispetto allo stiacciato; - l’altorilievo, in cui il soggetto sporge decisamente rispetto alla superficie; - il tuttotondo, in cui il soggetto non è vincolato ad una superficie ed è possibile osservarlo da qualsiasi angolazione.
La scultura in pietra La scultura in pietra è una tecnica antichissima, come testimoniano le opere preistoriche, mesopotamiche e egizie. I materiali utilizzati possono essere suddivisi in tre grandi gruppi: - i marmi, che vengono largamente utilizzati soprattutto a partire dall’età classica, poiché considerati i materiali ideali per la scultura. Il marmo bianco, detto statuario, ad esempio, è particolarmente utilizzato in quanto valorizza le ombre proprie del soggetto scolpito esaltando gli effetti di chiaroscuro; - le rocce tenere, più semplici da lavorare, come la steatite, il travertino, l’alabastro o il tufo; - le rocce dure, di origine vulcanica e più difficile lavorazione, come i basati e i graniti. Tra gli strumenti utilizzati, differenti a seconda del materiale lavorato, ci sono scalpelli e martelli per sbozzare il materiale e lime e raspe per rifinire il lavoro. Oggi, molti scultori utilizzano largamente trapani di vario tipo. La scultura in legno Il legno è stato un materiale largamente utilizzato per la scultura sin dall’epoca preistorica. Purtroppo, per la facile deperibilità di questo materiale abbiamo ai nostri giorni ben poche testimonianze di questo utilizzo. Ci rimane ad oggi qualche documentazione a partire dal mondo antico, come sarcofagi, mobili, strumenti musicali o statue del periodo egizio e greco. Dopo un periodo di scarso utilizzo a favore di materiali più duraturi, il legno torna ad essere utilizzato a partire dal periodo romanico soprattutto per la realizzazione di soggetti religiosi, come crocefissi e statue. Durante il Rinascimento, soprattutto la scuola fiorentina fa largo uso del legno per opere d’arte e mobili con intarsi. I legni più resistenti e quindi più utilizzati sono quello di noce, quercia, larice, tiglio, cipresso. In antichità sono state realizzate opere con legni differenti, come l’ebano, il pino e l’acacia. La difficoltà di lavorazione varia a seconda della tipologia di legno scelto; gli attrezzi da lavoro sono gli scalpelli e il mazzuolo, le raspe, le sgorbie, le lime e la carta vetrata. L'argilla e la ceramica L’argilla è un materiale morbido, facilmente modellabile, costituito da alluminio, sodio, potassio, calcio e bario, ovvero materiale di decomposizione rocciosa. La sua lavorazione avviene per mezzo di strumenti come stecche, spatole, mirette ed un disco rotante detto tornio. È importante che l’argilla venga conservata sempre a riparo dall’aria e ben idratata, essendo un materiale che secca molto facilmente. Quando l’argilla viene sottoposta a cottura diviene ceramica, un materiale di maggior durezza che può essere trattato con vernici e smalti per modificarne la colorazione o per decorazione. A seconda dei materiali utilizzati e delle tecniche di cottura classifichiamo tre tipologie di ceramica: - la porcellana, che solitamente richiede più cotture in successione per fissare gli smalti decorativi, che possiede un colore bianchissimo; - la terracotta, ovvero il più antico tipo di ceramica; - la maiolica, ormai quasi in disuso, la cui caratteristica è rendere l’oggetto impermeabile. I metalli L’arte della lavorazione dei metalli è molto antica e porta testimonianze sin dalla Preistoria. Per la realizzazione di opere in metallo, il materiale va portato a fusione e colato all’interno di una forma precostruita in argilla o terracotta. Uno dei metalli più utilizzati è il rame, spesso in lega con altri metalli come il bronzo per aumentarne la fluidità. Una delle più antiche tecniche di modellazione dei metalli è quella della cera persa: l’oggetto viene dapprima modellato con della cera per poi essere ricoperto di argilla e posto in cottura; durante la cottura, mentre l’argilla indurisce e diviene terracotta, la cera si scioglie facendo spazio alla successiva colata in metallo. Da disegnatrice, legata necessariamente alle due sole dimensioni del foglio e perciò ad una semplice illusione di tridimensionalità, ho sempre provato una certa curiosità nei confronti della pratica scultorea e dei suoi volumi che occupano uno spazio reale. Quanto mi piacerebbe, un giorno, essere capace di realizzare un tuttotondo! Se voi doveste scegliere, che materiale vi piacerebbe scolpire e con quale tecnica? Breve bibliografia di riferimento: - Arte italiana - dalle origini a oggi, Giunti; - Imago - nel mondo delle immagini, Fulvio Caputo, Mursia; I prossimi post: - Le tecniche di stampa; - Le tecniche architettoniche. CATEGORIE: STORIA DELL'ARTE
Per leggere la prima parte dell'articolo sulle tecniche artistiche, clicca qui. LE TECNICHE CROMATICHE Differenze e intrecci tra disegno e pittura Dire che disegno e pittura si differenziano tra loro perché portatori di caratteristiche ben precise è molto riduttivo: nel corso dei nostri studi noteremo come le due pratiche siano strettamente connesse in un rapporto molto stretto. Spesso infatti è successo che in pittura si siano utilizzati elementi propri del disegno, come il punto e la linea. Possiamo però semplificare momentaneamente asserendo che il disegno è una forma di rappresentazione che si serve essenzialmente di linee e punti, mentre la pittura si concentra sulla campitura di superfici. La pittura è inoltre fortemente legata al disegno, poiché di regola presuppone uno studio grafico di ciò che sarà realizzato nel dipinto; in pratica, sotto una buona pittura, c'è senza dubbio un buon disegno. L’acquerello L’acquerello è una tecnica di colorazione non coprente, che lascia cioè intravedere sotto le campiture il bianco della carta. Si tratta di pigmento vegetale e gomma arabica diluiti con acqua (la gomma arabica occorre a non far trasformare il colore in polvere una volta asciugato sulla carta) che è venduto in commercio sotto forma di tubetto o pasticca (detta godet). Una buona carta per acquerello, solitamente poco assorbente, dovrebbe essere costituita al 100% da cotone e non sbiancata chimicamente, per evitare l’ingiallimento del lavoro con il trascorrere degli anni. I pennelli, a punta tonda o piatta, devono possedere un buon serbatoio (ovvero setole che trattengano molto colore) di pelo di martora, bue o puzzola; oggi esistono in commercio anche molti ottimi pennelli totalmente sintetici. L’acquerello viene utilizzato già anticamente, ad esempio in alcuni papiri egiziani, in Cina e in Giappone. A partire dal XV secolo, soprattutto per merito di Albrecht Dürer (1471-1528) e dei suoi meravigliosi studi ad acquerello, la tecnica comincia a diffondersi fino a diventare molto utilizzata nel Seicento, nel Settecento e nell’Ottocento; ne fanno largo uso pittori come John Constable (1776-1837) e William Turner (1775-1851), ma anche molti impressionisti e pittori moderni. La tempera A differenza dell’acquerello, la tempera è un tipo di colorazione coprente, che non lascia cioè intravedere sotto la campitura il materiale d’applicazione (che può essere carta, legno, parete, tela). Il colore a tempera è costituito da pigmenti che vengono mescolati con varie sostanze come colle vegetali, animali o sintetiche, latte o uovo. Si trova in commercio in tubetti e in vasetti. Il colore a tempera ha una storia molto antica, cominciata probabilmente con le pitture rupestri (realizzate con terre colorate poi combinate con sostanze vegetali o animali). Successivamente, Greci, Romani e Bizantini utilizzano colori che possono essere considerati una tipologia di tempera. Durante il Medioevo la tempera è largamente utilizzata, sino all’invenzione, nel XV secolo, della pittura ad olio, che ne causa un momentaneo abbandono. Assistiamo ad un ritorno della tecnica a tempera a partire dal XIX secolo con artisti come Diego Rivera (1886-1957) che la prediligono per la sua caratteristica rapida asciugatura. Il colore ad olio Il colore ad olio, probabilmente già conosciuto da Greci e Romani, trova la sua fortuna grazie al pittore fiammingo Jan Van Eyck (1390-1441) e, da allora, non ha mai smesso di essere la tecnica preferita di molti artisti. Nel colore ad olio il pigmento è mescolato con olio di lino o di noce o di papavero e diluito con essenza di trementina. In passato venivano preparati nelle botteghe dei pittori partendo da pigmenti naturali in polvere, a partire dal XIX secolo invece sono in commercio in comodi tubetti. Oltre che su tela, l’olio può essere utilizzato su molti altri supporti come carta, cartone o tavola in legno, previa preparazione della superficie con una mistura di colla o gesso. La pittura murale La pittura murale nasce per necessità di semplificare i processi di pittura a parete tipici dell’affresco. L’affresco infatti, così chiamato per l’esigenza di applicare i pigmenti diluiti con acqua su intonaco murale fresco, prevede il fissaggio del colore per mezzo di un processo chimico che trasforma la calce dell’intonaco in carbonato di calcio, lasciando poi indurire la superficie trattata insieme al colore. Nella pittura murale, invece, è possibile dipingere direttamente su parete asciutta, preparata con materiale isolante. I colori più utilizzati sono gli acrilici, una tipologia di colore molto simile alla tempera ma diluiti con resine sintetiche, che ne garantiscono durata e resistenza agli agenti atmosferici. Vengono spesso utilizzate anche colorazioni simili a quelle per dipingere normalmente gli edifici o, per superfici non esposte ad agenti atmosferici, anche colori a tempera. L’affresco Poiché molto antica, risulta molto difficile stabilire quando la tecnica dell’affresco comincia ad essere utilizzata; probabilmente già in età etrusca vengono adottate tecniche molto simili. A partire dal Quattrocento la tecnica dell’affresco viene molto perfezionata con l’introduzione della tecnica dello spolvero: il disegno viene riportato su carta e perforato lungo i suoi contorni, per poi essere riportato su parete con del carbone strofinato sui fori stessi. La fortuna dell’affresco comincia con artisti come Giotto (1267-1337), Masaccio (1401-1428), Ghirlandaio (1449-1494) e continua con molti altri pittori rinascimentali. Viene pian piano abbandonato a favore della pittura ad olio. Il mosaico Il mosaico è una tecnica molto antica, utilizzata per decorare pavimenti e pareti già presso Babilonesi, Egizi, Greci e Romani. Consiste nell’affiancamento di minuscoli tasselli, detti tessere, di materiali come la pasta vitrea, la ceramica, il marmo o le pietre naturali, fissati al supporto con l’utilizzo di malta di cemento o altre tipologie di collanti. La tecnica del mosaico vive un momento di grande successo con l’arte cristiana e soprattutto bizantina, per poi essere via via lasciata in secondo piano a favore di nuove tecniche di lavoro. Ritrova un nuovo splendore con le magnifiche opere di Gustav Klimt (1862-1918). Il collage Il collage (dal francese “incollare”) è una tecnica molto recente che consiste nella realizzazione di un’opera mediante l’applicazione sul supporto di vari materiali (carte, pezzi di tela, legno, fotografie, ritagli di giornale, ecc). Introdotto dai più famosi pittori cubisti come Pablo Picasso (1881-1973) e Georges Braque (1882-1963) è stato poi utilizzato successivamente da artisti come Max Ernst (1891-1976), Henri Matisse (1869-1954) e Alberto Burri (1915-1995). Tra le tecniche che abbiamo visto in questo post, la mia preferita è senza ombra di dubbio l'acquerello: il suo saper essere delicato o energico a seconda della mano che lo utilizza, il suo lasciar intravedere il disegno o le pennellate sotto ogni campitura, sono aspetti che lasciano trasparire una visione molto sincera dell'opera e di chi l'ha realizzata. Al contrario, la tecnica che non sono mai riuscita a gestire (e, proprio per questo, su di me ha una certa attrattiva) è il collage. E voi, quale tecnica di colorazione preferite utilizzare? E quale, invece, vi è proprio estranea ma vi piacerebbe approfondire? Breve bibliografia di riferimento: - Arte italiana - dalle origini a oggi, Giunti; - Imago - nel mondo delle immagini, Fulvio Caputo, Mursia; - Arti visive - il Novecento, Gillo Dorfles e Angela Vettese, Atlas. I prossimi post: - Le tecniche scultoree; - Le tecniche di stampa; - Le tecniche architettoniche CATEGORIE: STORIA DELL'ARTE
Nel momento in cui scrivo, una fresca serata di fine ottobre, televisione, giornali e internet anticipano imminenti nuove misure restrittive necessarie per il contenimento di quell’accidentaccio di Covid-19. L’ombra della chiusura degli istituti scolastici, decisione che in alcun modo posso condividere, mi spinge a cercare di dare un contributo al mondo dell’istruzione in linea con le mie possibilità. Da qui alla prossima estate analizzeremo le principali tecniche artistiche e ammireremo come esse siano state utilizzate per realizzare opere ormai parte del nostro patrimonio artistico. La serie di articoli che qui leggerete sull’argomento sono stati pensati originariamente come Unità Didattica introduttiva per Scuola Secondaria di I Grado, ma la vista di alcune meraviglie di carta, colore, grafite, marmo o pietra, ci scommetto, faranno venir voglia di programmare un’estate 2021 in viaggio per musei anche ai più grandi (io già non vedo l’ora!). In questa prima parte della nostra carrellata sulle tecniche artistiche parleremo delle più comuni tecniche grafiche. LE TECNICHE GRAFICHE Il disegno Il disegno, ovvero la rappresentazione di un soggetto per mezzo di elementi grafici come il punto o la linea (appunto, di segni) è un’arte molto antica: già l’uomo preistorico ne faceva uso, come testimoniano i numerosi ritrovamenti in caverne e siti archeologici. Attraverso il disegno è possibile raffigurare sia la realtà che vediamo che ciò che fa parte della nostra immaginazione. Un disegno può essere un esercizio di copia, per comprendere meglio come un oggetto, un luogo o una persona è fatto, oppure essere un racconto, cioè comunicare in una sola immagine una storia, una sensazione o un’emozione. Per comodità, suddividiamo il disegno in due categorie: - il disegno preparatorio, ovvero il progetto dell'opera; si realizza quando ci si trova a dover progettare qualcosa di importante come un dipinto, una scultura, un affresco o un’opera architettonica; - il disegno finito, che è invece dotato di un valore espressivo autonomo. Esistono anche differenti metodologie di disegno, che variano a seconda del periodo storico di riferimento e del settore in cui si opera: - in architettura, ad esempio, parliamo di una rappresentazione geometrica in scala di riduzione (pianta, sezione, ecc.); - in storia dell’arte ricordiamo il disegno di contorno, molto utilizzato soprattutto fino al XIV secolo, che si serve solo di linee, e il disegno con chiaroscuro, celebre a partire dal Rinascimento in poi, in cui si evidenziano i volumi del soggetto per dare l’idea di spazio e profondità. Nel corso dei secoli gli artisti hanno utilizzato innumerevoli mezzi di disegno, a seconda delle proprie esigenze e delle conoscenze tecnologiche del loro tempo: a partire da penna d’oca e grafite, per arrivare poi a carboncino, matita, sanguigna, pastello, penna stilografica o biro. Questi materiali possono anche essere combinati tra loro, ovvero utilizzati all’interno dello stesso disegno: in questo caso parliamo di tecnica mista. La grafite La grafite è un minerale di carbonio che, una volta polverizzato, viene mescolato con argilla per costituire quella che chiamiamo mina. A seconda della temperatura in fase di cottura è possibile ottenere mine di differente durezza. Le matite si distinguono infatti in dure (H, che in inglese significa hardness) e morbide (B, che vuol dire blackness) ed è possibile trovarne varie gradazioni di ciascun tipo. La matita è uno strumento estremamente versatile, che produce effetti differenti a seconda della mano di chi la utilizza, dell’inclinazione della mina, della carta utilizzata, della gradazione della punta, della maniera in cui la si è temperata. Qualunque tipo di carta può essere utilizzato per il disegno: alcuni artisti, in ritrovo nei café francesi nel XIX secolo, disegnavano anche sulle tovagliette, rendendole opere d’arte. Nelle cartolerie troviamo moltissimi tipi di carta, da scegliere a seconda dell’uso necessario. La carta può essere liscia o ruvida, bianca o colorata. In genere la carta liscia (o satinata) è adatta all’uso di una mina dura e dà al tratto un segno molto nitido. La carta ruvida (o a grana fine, media o grossa), invece, è solitamente utilizzata per il disegno artistico con una mina morbida. Il carboncino e la sanguigna Sia carboncino che sanguigna sono materiali molto morbidi e utilizzati sin dall’antichità. Il carboncino, ottenuto da legni molto teneri, lascia su carta un segno particolarmente scuro e va necessariamente fissato con dello spray a base di resina mista ad alcol, pena la veloce perdita del lavoro. Per diverso tempo il carboncino è stato utilizzato con poche pretese, per schizzi veloci o per abbozzare un disegno prima di procedere alla pittura. A partire dal 1400, il carboncino comincia ad essere utilizzato in maniera più ambiziosa, utilizzo che cresce sempre maggiormente quando si presenta la possibilità di fissare il disegno. La sanguigna invece è ricavata da un particolare tipo di argilla che le conferisce il caratteristico colore rossiccio; presenta caratteristiche molto simili a quelle del carboncino e anch’essa necessita di fissaggio. La sanguigna comincia a diffondersi tra i pittori fiorentini del XV secolo, sia come tecnica di disegno dal valore autonomo che come base per la pittura ad olio. La penna e il pennarello La penna è uno strumento molto antico: ancora prima di essere ricavata da una piuma d’oca, era ottenuta dalla canna o dal giunco. Oggi utilizziamo le penne stilografiche, penne usa e getta come i graphos e le penne a sfera. Gli inchiostri possono essere neri o colorati; durante il Rinascimento, ad esempio, si utilizza molto un tipo di inchiostro ricavato da fuliggine di legno, detto bistro. Nel XVIII secolo il bistro viene sostituito dal bruno di seppia, ricavato dall’omonimo mollusco. Oggi, con i pigmenti chimici, possiamo ottenere inchiostri di qualsiasi colore. Il pennarello è uno strumento molto recente, messo in commercio circa 70 anni fa, dopo la seconda Guerra Mondiale. È composto da un serbatoio in plastica, al cui interno è conservato l’inchiostro nero o colorato, e la sua punta è formata da un materiale poroso come il nylon o il feltro. Così come la penna, il pennarello può essere utilizzato per tracciare linee e punti; in alternativa, il pennarello può essere utilizzato per riempire intere campiture, diventando così non più solo un mezzo per il disegno, ma anche una tecnica di colorazione. Il pastello Esistono differenti tipologie di pastello, classificate in base alla loro composizione: - la matita colorata, che è il tipo di pastello più diffuso, possiede una mina costituita da un impasto di pigmento in polvere, acqua e gomma arabica inserito all’interno di un cilindretto in legno; - il pastello a cera ed il pastello ad olio, costituiti per l’appunto di cera i primi e di oli misti i secondi, sono molto morbidi e perciò molto adatti al disegno artistico. Si presentano spesso come barrette molto spesse, non racchiuse in alcun cilindretto; - il gessetto è invece una barretta molto polverosa, per il cui fissaggio è necessario disporre di un buon fissativo. Sino al XVIII secolo il pastello è stato considerato una tecnica minore, di aiuto agli artisti nella progettazione di dipinti, sculture o opere architettoniche; é l’artista veneziana Rosalba Carriera (1675-1757) che dà un nuovo slancio a questa tecnica utilizzandola nei suoi delicati ritratti. Ho dimenticato qualcosa? Fatemi sapere nei commenti cosa aggiungereste e quali sono le vostre opere preferite! Breve bibliografia di riferimento: - Arte italiana - dalle origini a oggi, Giunti; - Imago - nel mondo delle immagini, Fulvio Caputo, Mursia; - Corso completo di disegno e pittura - il disegno artistico, Ulisse Edizioni. I prossimi post: - Le tecniche cromatiche; - Le tecniche scultoree; - Le tecniche di stampa; - Le tecniche architettoniche. CATEGORIE: STORIA DELL'ARTE
Questa doppia pagina a china ed acquerello, tratta dal mio primo progetto libro, è stata l’illustrazione di punta del mio primo portfolio quando ho cominciato a propormi nel mondo del lavoro. Credo di doverle i miei primi clienti e, con l’esperienza acquisita grazie a lei, ho potuto crescere tanto da decidere di mandarla in pensione. Durante il mese di aprile di questo nostro sfortunato 2020 la mia attività da illustratrice ha compiuto 10 anni: 10 anni di libri, colori, nottate al computer, corsi, e-mail, progetti, occhi stanchi, soddisfazioni, tazze di tisana allo zenzero, consegne segnate in grassetto sul calendario, mal di schiena, fierezza di me per essere riuscita a fare il mestiere del mio cuore. Per l’occasione mi sarebbe piaciuto moltissimo allestire una mostra personale in cui raccontare il mio percorso e quei dietro le quinte della professione che ignoravo da studentessa ed ho scoperto solo lavorando. Naturalmente, il poco simpatico Covid19 ed il conseguente lockdown ci si sono messi di mezzo, così “Da 25 a 35 - 10 anni e non sentirli” (questo il nome che la mia mostra avrebbe avuto) si cambia d’abito e diventa un post in cui rifletto sulle 5 cose che meno mi aspettavo di scoprire quando ho scelto di diventare illustratrice. 1. L’illustratore non è un artista solitario. Non so neanch’io quante volte, da ragazzina, mi sono immaginata adulta a lavorare al mio tavolo da disegno e a consegnare la mia opera finita senza prima un confronto, un’approvazione delle bozze, uno studio delle necessità del cliente, una valutazione del fruitore finale del mio lavoro; mi immaginavo sola a disegnare quel che mi pareva e che le case editrici avrebbero pubblicato senza battere ciglio. Inutile sottolineare che questa è fantascienza: nel lavoro vero, qualsiasi sia la destinazione del nostro disegno (un libro, un manifesto, la copertina di un disco, una rivista), il prodotto finale è il risultato di un’unione di differenti professionalità: art director, grafico, scrittore, illustratore, tipografo, editor condividono l’interesse di pubblicare un prodotto di qualità. È perciò fondamentale saper scendere a compromessi ed essere capaci di fare gioco di squadra . 2. Un disegno non è mai finito, però può essere completo. Questa frase la diceva molto spesso il mio adorato professore di ornato al liceo artistico: certo, lui si riferiva al mondo più “alto” dell’arte (io non mi sono mai considerata un’artista) ma mi sono resa conto di quanto questa frase possa essere facilmente applicata al mondo del disegno per l’editoria. Tante volte, da ragazza, ho storto il naso su volumi illustrati a mio parere male: la mia convinzione era che io, un domani, sarei stata molto più brava di quel mediocre disegnatore di cui sfogliavo l’opera. Con il lavoro mi sono resa conto che alle volte i tempi dell’editoria sono davvero stretti e che è necessario imparare a fare quanto di meglio possibile nel tempo a disposizione; vedremo sempre, nel nostro lavoro pubblicato, cose da sistemare, spostare, correggere, aggiungere e ci lamenteremo di non aver avuto più tempo da dedicargli. 3. Tutti i colleghi sono più bravi di noi. È incredibile quanto io sia stata piena di me durante gli anni di studio: nella mia testa ero tutta un “farò questo” e “farò quello” e “spaccherò il mondo” e “il mondo dell’editoria ha bisogno di me”; in realtà credo che questo sia abbastanza comune in tutti quei ragazzi che si rendono conto di avere una grande passione per le storie ed una buona predisposizione al disegno. La verità è che ai primi lavori veri la percezione di sé si ribalta: compresi i meccanismi dei punti 1 e 2, improvvisamente ci si rende conto di essere umani. E, conoscendo adesso tutti i retroscena che prima ci erano oscuri, improvvisamente tutti i colleghi sono dei geni indiscussi e noi diventiamo fortunatamente più umili. 4. È fondamentale fare orari d’ufficio. Avrei voluto che qualcuno me lo avesse detto quando a 12 anni ho cominciato a star sveglia di notte perché a scuola ci riempivano di compiti e quella era l’unica fascia oraria disponibile per disegnare; poi, naturalmente, al mattino non volevo alzarmi, mi assentavo di continuo, per recuperare le lezioni dovevo studiare molto e di nuovo disegnavo a tarda notte. In tutti questi anni (e, dai miei 12, ne sono passati un bel po’) questo è ancora un ritmo sonno-veglia nel quale ricado con una sconcertante facilità. Anche se sono indubbi i vantaggi del lavorare durante la notte (silenzio assoluto e zero interruzioni) un editore non aspetterà le due del pomeriggio, quando finalmente siamo in piedi e abbiamo preso il caffè, per telefonarci e chiederci quella modifica urgente; in più, a lungo andare, diventa stressante vedere il resto della famiglia che a sera si gode il meritato riposo con un film, un bagno caldo, un libro, mentre noi siamo sommersi di to-do-list da chiudere entro le sei del mattino. 5. L’istinto non sbaglia mai. Sono sempre stata una persona razionale ma mai come in questi anni mi sono ricreduta sulla necessità di ascoltare il mio istinto quando cerca di avvertirmi di qualcosa. Se una proposta di lavoro convince poco, non è interessante, sembra che il cliente cerchi di ottenere qualcosa in più di quanto gli sia dovuto o semplicemente non abbiamo tempo o modo di seguirla, un NO può evitarci una lunghissima serie di seccature. Ho anche scoperto che dire NO quando è necessario mi fa sentire incredibilmente matura, saggia, professionale e in controllo della mia vita e del mio tempo. E voi cosa ne pensate? Vi ritrovate in qualcuno di questi punti o ne aggiungereste altri? CATEGORIE: VITA DA ILLUSTRATORE
Il mio ultimo post qui sul blog risale a poco più di un anno fa, quando di lì a pochi giorni avrei scoperto che il mio cane era gravemente ammalato e avrei vissuto uno dei periodi più tristi della mia vita; da allora ho avuto ben poca voglia di aggiornare i miei canali proprietari ed ho curato pochissimo i miei social eppure, in questo rallentamento di più di dodici mesi, ho continuato a lavorare come illustratrice, ad insegnare, a tenere workshop ed incontri. Ma allora è possibile lavorare da libero professionista senza curare particolarmente i propri canali online? Nì, e comprendiamo insieme perché. Quando parlo con alcuni dei miei studenti, sempre più spesso mi rendo conto che esiste una convinzione diffusa che la bravura di un professionista sia direttamente proporzionale alla quantità di affezionati che lo segue sul social del momento. È un mito davvero difficile da sfatare. Con questo non intendo certo insinuare che un disegnatore molto seguito in realtà non sia bravo ma piuttosto spostare l’attenzione sulle motivazioni che spingono un disegnatore ad investire le sue risorse su un qualsiasi social piuttosto che su un altro tipo di promozione. In altre parole la creazione di una comunità numerosa che segua i nostri canali è un investimento di tempo ed energie che, a mio parere, è il caso di attuare se riteniamo di poter intercettare sui social una grande fetta di potenziale clientela. È quindi il caso di chiederci: che tipo di illustratori vogliamo diventare? Praticamente, cosa vogliamo fare? Proprio così, perché una giornata dura solo 24 ore e, se escludiamo le auspicabili 8 ore di riposo ed il tempo dedicato a lettura, cinema, famiglia, amici umani o pelosi, cibo, attività fisica (io, questa, proprio no!) e relax, ci restano circa 8 ore al giorno da dedicare alla costruzione della nostra professione: un tempo preziosissimo per piantare semini che domani dovranno diventare un bel giardino. Perciò è il caso di avere le idee ben chiare su ciò che si vorrebbe fare: se siamo disegnatori “ribelli”, desideriamo autogestirci in shop personali ed autoproduzioni, cominciare investendo anche sui social è una buona idea. Lì troveremo una comunità pronta ad acquistare i nostri prodotti e a sostenerci, a patto ovviamente di non improvvisarci e creare contenuti davvero di qualità (e che portino poi il cliente ai nostri canali proprietari). Se invece la nostra aspirazione è collaborare con aziende e case editrici, forse è il caso di non farci distogliere -almeno agli inizi- dalla creazione di un buon portfolio e dalla ricerca di clientela adatta a cui proporsi; la vita online crescerà con la professione. Per quanto mi riguarda non credo alla leggenda dell’AD che, navigando su Facebook o Instagram, scopre il mio lavoro: a quasi 36 anni suonati credo di essermi lasciata alle spalle quella spavalderia degli inizi che mi faceva pensare di essere più meritevole di qualcun altro di essere notata. Penso piuttosto di essere una professionista che cerca di fare il suo lavoro con rispetto, passione e consapevolezza. Per questo motivo i social per me sono una specie di hobby, una maniera per non rimanere isolata e di scambiare quattro chiacchiere con amici, colleghi ed editori con cui mi sono trovata così bene da rimanerci in contatto anche al di fuori del lavoro. Allora, penserete, è il sito ad essere il mio principale strumento di marketing? Neanche questo, il sito mi occorre piuttosto per mostrare al potenziale cliente il mio lavoro e per far sapere al mondo che esisto e sono sul mercato. Per quella che è la mia esperienza e per quelle che sono le mie aspirazioni, il più efficace strumento di autopromozione è farmi avanti con le realtà che mi interessano: nulla paga più di un colloquio ben gestito in una fiera di settore o della mail giusta inviata al momento giusto alla persona giusta. Quando si agisce con un minimo di organizzazione, si possono ottenere ottime risposte che si abbiano 10, 100 o 100.000 followers. Perciò, prima di lasciarci andare al senso di colpa per non aver caricato nuove foto su Instagram da settimane, chiediamoci che tipo di illustratori vogliamo diventare. Voi, per esempio, a che tipo di clientela siete interessati e come pensate di poterla intercettare? CATEGORIE: VITA DA ILLUSTRATORE
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