Non so a voi, ma a me è parso che l’inverno appena trascorso sia durato tre anni: ho percepito l’estate come talmente lontana che, adesso che è finalmente qui dietro l’angolo, posso sopportare con un sorriso anche la rinite allergica. Rieccomi quindi qui sul blog a sognare di viaggiare ed ammirare dal vivo cinque celebri opere, delle quali vi racconto qualche curiosità. N.B. tutti i disegni di questo post sono stati realizzati per Gribaudo Editore e pubblicati sul primo volume di Giochi da Grandi (2021); se l’estate scorsa avete completato tutti i giochi di enigmistica contenuti nel testo, non disperate: per tenervi compagnia in spiaggia anche quest’anno, è in arrivo a brevissimo Il mio quaderno dei compiti delle vacanze: praticamente, il secondo volume di Giochi da Grandi! DAVID DI MICHELANGELO (1501-1504, Galleria dell’Accademia, Firenze) C’è stata una volta in cui il David, così come molte altre opere del nostro patrimonio artistico, fu nascosto dalla vista di chiunque. In pochi sanno che uno dei punti della propaganda fascista era la protezione delle opere d’arte italiane allo scoppio del secondo conflitto mondiale: pochi giorni prima dell’entrata ufficiale dell’Italia in guerra, il direttore delle Gallerie Fiorentine ricevette disposizioni direttamente dal Ministero per la messa in sicurezza delle opere d’arte. Poco si poteva fare per gli affreschi, destinati a creparsi per le vibrazioni delle esplosioni durante i bombardamenti, a parte fortificare le fondamenta degli edifici. Ma le opere pittoriche e scultoree dovevano essere protette: così il David, come molte altre statue, fu avvolto in una struttura metallica e circondato da un’ogiva in cemento e muratura per poi essere riportato alla luce alla fine del conflitto. A questo link è possibile vedere una fotografia dell’epoca; lì dentro c’era il buon vecchio Davidone, nello stesso luogo in cui è conservato oggi: io lo trovo un po’ inquietante, voi no? DISCOBOLO DI MIRONE (455 a.C., copia Lancellotti, Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo, Roma) ll Discobolo di Mirone è stata un’opera in bronzo enorme ed imponente, andata perduta come massima parte della statuaria greca per necessità di materia prima (le statue venivano spesso fuse e il bronzo riutilizzato); sono scampate alla fusione quelle opere che, per un motivo o per l’altro, erano state perdute, come ad esempio i celebri bronzi di Riace, recuperati in mare agli inizi degli anni 70. Quello che ho disegnato per Gribaudo Editore non è quindi il vero Discobolo di Mirone, ma una copia in pietra di epoca romana che nessuno può sapere quanto sia fedele all’originale greco. È certo però che la copia romana sia molto più piccola. Perché? Perché se Lancellotti, autore della copia in pietra, l’avesse scolpita in dimensione originale, il braccio sollevato si sarebbe spezzato per il peso del materiale. Questa storia mi è venuta in mente e l’ho raccontata per caso in aula mentre facevo lezione di anatomia a scuola qualche giorno fa. Ho pensato quant’è strano imparare qualcosa da piccoli e dimenticarsi di saperlo; poi quella cosa rispunta fuori così, all’improvviso, a ricordarci che gli anni di studio alla fin fine così inutili come pensavamo da piccoli non sono stati! AMORE E PSICHE DI ANTONIO CANOVA (1787-1793, Museo del Louvre, Parigi) Quando Antonio Canova ricevette da un colonnello inglese l’incarico di realizzare Amore e Psiche era già molto conosciuto ed apprezzato per le sue opere sia scultoree che pittoriche; ad opera realizzata però, fu impossibile per il colonnello John Campbell affrontare le spese di trasporto del bellissimo marmo, che rimase nello studio del Canova in attesa di una collocazione. Appena diffusasi la voce che il meraviglioso gruppo scultoreo era rimasto in Italia nello studio di Canova, immediatamente il posto fu preso d’assalto da moltissimi curiosi e appassionati d’arte che desideravano ammirarlo, disturbando l’artista a lavoro su nuovi capolavori. Fu così che Canova fu costretto a spostarsi momentaneamente, e di nascosto, nello studio di un collega. Questo finché l’opera, oramai celeberrima, non fu acquistata da re Gioacchino Murat. Quando la Corona Francese confiscò i beni di quest’ultimo, Amore e Psiche fu spostata al Museo del Louvre, che ancora oggi è la sua casa. È questa una di quelle opere che, prima o poi, vorrei tantissimo ammirare dal vero! E voi avete visto Amore e Psiche? Cos’altro vi ha rapito il cuore nel Museo del Louvre? VENERE DI MILO (attribuita a Alessandro di Antiochia) (130 a.C., Museo del Louvre, Parigi) Per quale motivo alcune opere raggiungono una tale fama? Beh, nel caso della Venere di Milo possiamo convenire che la ragione sia la sua indubbia bellezza: fu rinvenuta da un contadino sull’isola greca di Milo, recisa in due parti e priva degli arti superiori, ed acquistata dall’ufficiale della marina Olivier Voutier che ne aveva intuito il valore, per essere poi portata in custodia al Louvre. In questo caso però gioca un ruolo fondamentale anche una certa propaganda che il governo francese ne fece a riguardo: nel XIX secolo, infatti, la Francia possedeva la famosa Venere de’ Medici di Cleomene di Apollodoro, anch’essa risalente al periodo ellenistico, portata via all’Italia da Napoleone. Quando la Francia dovette restituire la scultura all’Italia investì di ogni attenzione pubblicitaria la Venere di Milo, per limitare i danni derivati dalla sua perdita. Quindi su, dai, la Gioconda non l’abbiamo più riavuta, ma la bella Venere de’ Medici possiamo ammirarla agli Uffizi. La Venere di Milo, invece, è ancora a casa sua al Museo del Louvre... sì, insieme alla Gioconda. NIKE DI SAMOTRACIA (attribuita a Pitocrito) (200-180 a.C., Museo del Louvre, Parigi) Quando sui miei social ho postato la mia copia disegnata di Amore e Psiche del Canova chiedendo ai lettori cosa hanno amato tra le opere custodite al Museo del Louvre di Parigi, qualcuno mi ha ricordato della bellissima Nike di Samotracia, una meravigliosa opera scultorea in marmo pario, un marmo greco particolarmente pregiato per la sua grana molto fine. Non sapevo però che quest’opera molto celebre, dopo essere rimasta nella sua postazione originaria a Samotracia, per molto tempo scomparve in maniera misteriosa. Fu ritrovata durante la seconda metà del XIX secolo, rotta purtroppo in diversi pezzi, sempre sull’isola di Samotracia. Immediatamente la Francia si propose di acquistarla con l’idea di esporla presso il Louvre; ed è proprio lì che, dopo un lungo viaggio, la Nike di Samotracia è stata ricomposta. Il Museo del Louvre è da allora sempre stato la casa della scultura, eccetto per uno spostamento obbligato per proteggerla dai bombardamenti del secondo conflitto mondiale presso uno dei castelli della Valle della Loira. Una soluzione differente rispetto alla protezione in muratura toccata al David. La dea Nike era la protettrice non solo del conflitto militare (è in effetti stata realizzata come celebrazione di una vittoria bellica, raffigurata nell’atto di posarsi su una nave a protezione del popolo greco nel momento della battaglia) ma era anche il simbolo delle vittorie sportive (motivo per cui un noto brand di abbigliamento sportivo ha adottato il suo nome e possiede inoltre un logo che è poi la stilizzazione di una delle ali della statua). La storia della Nike di Samotracia è talmente interessante da dolermi il non rispecchiarmi in nessuno dei valori che comunica: non sono affatto una persona combattiva e, tantomeno, sono una persona sportiva. Voi, invece, vi ci ritrovate? Qual è l’opera che pensate vi rispecchi di più? Conoscevi già questi aneddoti? Questi contenuti sono stati originariamente pensati per il mio profilo Instagram; se ne hai voglia, vieni a trovarmi anche là! CATEGORIE: STORIA DELL'ARTE
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