Questa doppia pagina a china ed acquerello, tratta dal mio primo progetto libro, è stata l’illustrazione di punta del mio primo portfolio quando ho cominciato a propormi nel mondo del lavoro. Credo di doverle i miei primi clienti e, con l’esperienza acquisita grazie a lei, ho potuto crescere tanto da decidere di mandarla in pensione. Durante il mese di aprile di questo nostro sfortunato 2020 la mia attività da illustratrice ha compiuto 10 anni: 10 anni di libri, colori, nottate al computer, corsi, e-mail, progetti, occhi stanchi, soddisfazioni, tazze di tisana allo zenzero, consegne segnate in grassetto sul calendario, mal di schiena, fierezza di me per essere riuscita a fare il mestiere del mio cuore. Per l’occasione mi sarebbe piaciuto moltissimo allestire una mostra personale in cui raccontare il mio percorso e quei dietro le quinte della professione che ignoravo da studentessa ed ho scoperto solo lavorando. Naturalmente, il poco simpatico Covid19 ed il conseguente lockdown ci si sono messi di mezzo, così “Da 25 a 35 - 10 anni e non sentirli” (questo il nome che la mia mostra avrebbe avuto) si cambia d’abito e diventa un post in cui rifletto sulle 5 cose che meno mi aspettavo di scoprire quando ho scelto di diventare illustratrice. 1. L’illustratore non è un artista solitario. Non so neanch’io quante volte, da ragazzina, mi sono immaginata adulta a lavorare al mio tavolo da disegno e a consegnare la mia opera finita senza prima un confronto, un’approvazione delle bozze, uno studio delle necessità del cliente, una valutazione del fruitore finale del mio lavoro; mi immaginavo sola a disegnare quel che mi pareva e che le case editrici avrebbero pubblicato senza battere ciglio. Inutile sottolineare che questa è fantascienza: nel lavoro vero, qualsiasi sia la destinazione del nostro disegno (un libro, un manifesto, la copertina di un disco, una rivista), il prodotto finale è il risultato di un’unione di differenti professionalità: art director, grafico, scrittore, illustratore, tipografo, editor condividono l’interesse di pubblicare un prodotto di qualità. È perciò fondamentale saper scendere a compromessi ed essere capaci di fare gioco di squadra . 2. Un disegno non è mai finito, però può essere completo. Questa frase la diceva molto spesso il mio adorato professore di ornato al liceo artistico: certo, lui si riferiva al mondo più “alto” dell’arte (io non mi sono mai considerata un’artista) ma mi sono resa conto di quanto questa frase possa essere facilmente applicata al mondo del disegno per l’editoria. Tante volte, da ragazza, ho storto il naso su volumi illustrati a mio parere male: la mia convinzione era che io, un domani, sarei stata molto più brava di quel mediocre disegnatore di cui sfogliavo l’opera. Con il lavoro mi sono resa conto che alle volte i tempi dell’editoria sono davvero stretti e che è necessario imparare a fare quanto di meglio possibile nel tempo a disposizione; vedremo sempre, nel nostro lavoro pubblicato, cose da sistemare, spostare, correggere, aggiungere e ci lamenteremo di non aver avuto più tempo da dedicargli. 3. Tutti i colleghi sono più bravi di noi. È incredibile quanto io sia stata piena di me durante gli anni di studio: nella mia testa ero tutta un “farò questo” e “farò quello” e “spaccherò il mondo” e “il mondo dell’editoria ha bisogno di me”; in realtà credo che questo sia abbastanza comune in tutti quei ragazzi che si rendono conto di avere una grande passione per le storie ed una buona predisposizione al disegno. La verità è che ai primi lavori veri la percezione di sé si ribalta: compresi i meccanismi dei punti 1 e 2, improvvisamente ci si rende conto di essere umani. E, conoscendo adesso tutti i retroscena che prima ci erano oscuri, improvvisamente tutti i colleghi sono dei geni indiscussi e noi diventiamo fortunatamente più umili. 4. È fondamentale fare orari d’ufficio. Avrei voluto che qualcuno me lo avesse detto quando a 12 anni ho cominciato a star sveglia di notte perché a scuola ci riempivano di compiti e quella era l’unica fascia oraria disponibile per disegnare; poi, naturalmente, al mattino non volevo alzarmi, mi assentavo di continuo, per recuperare le lezioni dovevo studiare molto e di nuovo disegnavo a tarda notte. In tutti questi anni (e, dai miei 12, ne sono passati un bel po’) questo è ancora un ritmo sonno-veglia nel quale ricado con una sconcertante facilità. Anche se sono indubbi i vantaggi del lavorare durante la notte (silenzio assoluto e zero interruzioni) un editore non aspetterà le due del pomeriggio, quando finalmente siamo in piedi e abbiamo preso il caffè, per telefonarci e chiederci quella modifica urgente; in più, a lungo andare, diventa stressante vedere il resto della famiglia che a sera si gode il meritato riposo con un film, un bagno caldo, un libro, mentre noi siamo sommersi di to-do-list da chiudere entro le sei del mattino. 5. L’istinto non sbaglia mai. Sono sempre stata una persona razionale ma mai come in questi anni mi sono ricreduta sulla necessità di ascoltare il mio istinto quando cerca di avvertirmi di qualcosa. Se una proposta di lavoro convince poco, non è interessante, sembra che il cliente cerchi di ottenere qualcosa in più di quanto gli sia dovuto o semplicemente non abbiamo tempo o modo di seguirla, un NO può evitarci una lunghissima serie di seccature. Ho anche scoperto che dire NO quando è necessario mi fa sentire incredibilmente matura, saggia, professionale e in controllo della mia vita e del mio tempo. E voi cosa ne pensate? Vi ritrovate in qualcuno di questi punti o ne aggiungereste altri? CATEGORIE: VITA DA ILLUSTRATORE
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Il mio ultimo post qui sul blog risale a poco più di un anno fa, quando di lì a pochi giorni avrei scoperto che il mio cane era gravemente ammalato e avrei vissuto uno dei periodi più tristi della mia vita; da allora ho avuto ben poca voglia di aggiornare i miei canali proprietari ed ho curato pochissimo i miei social eppure, in questo rallentamento di più di dodici mesi, ho continuato a lavorare come illustratrice, ad insegnare, a tenere workshop ed incontri. Ma allora è possibile lavorare da libero professionista senza curare particolarmente i propri canali online? Nì, e comprendiamo insieme perché. Quando parlo con alcuni dei miei studenti, sempre più spesso mi rendo conto che esiste una convinzione diffusa che la bravura di un professionista sia direttamente proporzionale alla quantità di affezionati che lo segue sul social del momento. È un mito davvero difficile da sfatare. Con questo non intendo certo insinuare che un disegnatore molto seguito in realtà non sia bravo ma piuttosto spostare l’attenzione sulle motivazioni che spingono un disegnatore ad investire le sue risorse su un qualsiasi social piuttosto che su un altro tipo di promozione. In altre parole la creazione di una comunità numerosa che segua i nostri canali è un investimento di tempo ed energie che, a mio parere, è il caso di attuare se riteniamo di poter intercettare sui social una grande fetta di potenziale clientela. È quindi il caso di chiederci: che tipo di illustratori vogliamo diventare? Praticamente, cosa vogliamo fare? Proprio così, perché una giornata dura solo 24 ore e, se escludiamo le auspicabili 8 ore di riposo ed il tempo dedicato a lettura, cinema, famiglia, amici umani o pelosi, cibo, attività fisica (io, questa, proprio no!) e relax, ci restano circa 8 ore al giorno da dedicare alla costruzione della nostra professione: un tempo preziosissimo per piantare semini che domani dovranno diventare un bel giardino. Perciò è il caso di avere le idee ben chiare su ciò che si vorrebbe fare: se siamo disegnatori “ribelli”, desideriamo autogestirci in shop personali ed autoproduzioni, cominciare investendo anche sui social è una buona idea. Lì troveremo una comunità pronta ad acquistare i nostri prodotti e a sostenerci, a patto ovviamente di non improvvisarci e creare contenuti davvero di qualità (e che portino poi il cliente ai nostri canali proprietari). Se invece la nostra aspirazione è collaborare con aziende e case editrici, forse è il caso di non farci distogliere -almeno agli inizi- dalla creazione di un buon portfolio e dalla ricerca di clientela adatta a cui proporsi; la vita online crescerà con la professione. Per quanto mi riguarda non credo alla leggenda dell’AD che, navigando su Facebook o Instagram, scopre il mio lavoro: a quasi 36 anni suonati credo di essermi lasciata alle spalle quella spavalderia degli inizi che mi faceva pensare di essere più meritevole di qualcun altro di essere notata. Penso piuttosto di essere una professionista che cerca di fare il suo lavoro con rispetto, passione e consapevolezza. Per questo motivo i social per me sono una specie di hobby, una maniera per non rimanere isolata e di scambiare quattro chiacchiere con amici, colleghi ed editori con cui mi sono trovata così bene da rimanerci in contatto anche al di fuori del lavoro. Allora, penserete, è il sito ad essere il mio principale strumento di marketing? Neanche questo, il sito mi occorre piuttosto per mostrare al potenziale cliente il mio lavoro e per far sapere al mondo che esisto e sono sul mercato. Per quella che è la mia esperienza e per quelle che sono le mie aspirazioni, il più efficace strumento di autopromozione è farmi avanti con le realtà che mi interessano: nulla paga più di un colloquio ben gestito in una fiera di settore o della mail giusta inviata al momento giusto alla persona giusta. Quando si agisce con un minimo di organizzazione, si possono ottenere ottime risposte che si abbiano 10, 100 o 100.000 followers. Perciò, prima di lasciarci andare al senso di colpa per non aver caricato nuove foto su Instagram da settimane, chiediamoci che tipo di illustratori vogliamo diventare. Voi, per esempio, a che tipo di clientela siete interessati e come pensate di poterla intercettare? CATEGORIE: VITA DA ILLUSTRATORE
Premessa: questo post è conseguenza di una conversazione avuta con due amiche che si stanno affacciando adesso alla professione di illustratore e avevano dei dubbi da chiarire. Per questioni di spazio e di tempo mi è impossibile trattare il tema in maniera davvero approfondita in un unico post, sono certa però che la rete sia piena di buoni articoli sull’argomento. Ho cominciato a lavorare ai primi progetti importanti nel 2010 e, in quello stesso anno, ho avuto la fortuna di incontrare quello che sarebbe poi diventato il mio primo agente. Il nostro felice rapporto lavorativo è durato quasi cinque anni, finché non troncammo la nostra collaborazione perché il mio stile tendenzialmente classico cominciava ad essere poco invitante per una nuova fetta di editori provenienti dagli USA. Per qualche tempo sono andata avanti da sola: ho conquistato qualche nuovo contatto e sono stata felice di notare come molti clienti con cui ho collaborato tramite la mia prima agenzia siano tornati a propormi nuovi lavori anche senza necessità di un intermediario. I clienti che tornano, che si siano conquistati tramite agenzia o no, diciamolo, sono sempre una dolce conferma, una voce amica che ci dice che forse il nostro lavoro lo facciamo bene. Tuttavia, la necessità di crescere e cercare nuovi stimoli, nuove idee, nuove situazioni (pur continuando a mantenere quelle certezze conquistate), mi ha spinto quest’anno a mettermi alla ricerca di un nuovo agente. Ma, di preciso, cos’è un agente e cosa fa per un illustratore? Un agente non ci assume per disegnare, si tratta in realtà di una collaborazione, ma possiamo provare a semplificare il concetto dicendo che siamo noi piuttosto che “lo assumiamo” per trovarci del lavoro. È importante perciò essere selettivi e non stringere una collaborazione con qualunque agenzia pur di avere qualche possibilità in più. Qualche tempo fa, ad esempio, ho ricevuto una proposta di contratto da un’agenzia che non mi sembrava adatta alle mie esigenze: ho ringraziato e declinato, in attesa di una situazione più stimolante. Se siamo noi ad assumere un agente, come lo paghiamo? Su ogni commissione proveniente dall’agenzia, l’illustratore lascia una percentuale (che dipende dall’agenzia stessa e dal contratto che si è firmato, ma talvolta anche dal progetto e da come lo si è ottenuto. Solitamente oscilla tra il 20% e il 35%.). Funziona così: è l’agente a gestire ogni dettaglio con il cliente, che pagherà direttamente l’intera somma dovuta all’agenzia. Questa tratterrà la sua percentuale e pagherà a sua volta l’illustratore. Quindi è l’agente che si occupa dei contatti con il cliente? Sì. È suo interesse riuscire a farci ottenere lavoro e al prezzo più alto possibile, così sarà più alta anche la sua parte, no? A noi non resta che sederci al tavolo da disegno e rispettare le scadenze. E se non riesco a rispettare la scadenza? I tempi di un’agenzia sono sempre piuttosto stretti: se non si è sicuri di riuscire a rispettarli, forse è meglio lasciar perdere (o essere chiari sin dall’inizio facendo presente che si ha bisogno di tempi particolari prima di firmare il contratto, consapevoli però del rischio che dall’altra parte si tirino indietro). E se si tirano indietro? Non è una tragedia: It’s not personal, it’s strictly business, dice Michael Corleone ne Il Padrino e, anche se noi per fortuna non siamo gangster, direi che l’espressione si adatti al caso. Piuttosto, il fatto di aver ricevuto una buona proposta da una buona agenzia o da un buon editore ci dà conferma di essere maturi e pronti per il vero lavoro e, anche se questa volta non abbiamo trovato un accordo sui tempi di lavorazione, probabilmente qualcos’altro di valido arriverà a breve. Amo molto l’idea di poter alternare situazioni lavorative gestite totalmente da me a momenti in cui posso appoggiarmi ad un’altra persona. Voi cosa preferite, il lavoro indipendente o la buona compagnia? CATEGORIE: VITA DA ILLUSTRATORE, AGENZIE DI ILLUSTRAZIONE
Diciamoci la verità: quando studiamo per diventare illustratori, non possiamo non guardare a quegli autori che dell’illustrazione e dei libri ci hanno fatto innamorare e sperare di diventare come loro, un giorno. Da ragazzina mai mi sarebbe venuto in mente di poter contribuire all’aspetto delle pagine di un libro di matematica, storia o italiano. Eppure è successo e, per quanto durante i miei studi da illustratrice abbia sentito peste e corna sull’illustrazione scolastica, lavorandoci mi sono resa conto che non è poi questo terribile mostro! Per affrontarla con un sorriso è sufficiente conoscerne i meccanismi e apprezzarne alcuni aspetti. Sono fortemente convinta che la maniera migliore di apprendere questi concetti sia metterli in pratica immediatamente: per questo, durante il mio workshop di illustrazione per libri scolastici Lo spauracchio Scolastica, piuttosto che spiegare come si svolge il lavoro preferisco simularlo: ispirandomi a commissioni da me già affrontate, mi diverto ad impersonare vari editori con esigenze specifiche, seguendo poi ogni allievo nello svolgimento del lavoro. Questo mese Lo spauracchio Scolastica compie tre anni: tre anni di condivisione del mio lavoro con chi dell’illustrazione vuol fare un mestiere ma anche di viaggi e di incontri con realtà che hanno voluto ospitarlo. Da quest’anno, quasi a celebrare questo anniversario, Lo spauracchio Scolastica diventa un corso annuale: a partire da ottobre 2018 sarò ufficialmente parte del corpo docenti di Pencil Art, scuola di fumetto e illustrazione con sede a Roma e a Bari, dove insegnerò disegno e illustrazione scolastica. Roberta Santi, illustratrice che ha seguito il workshop a Padova nel 2016, ne parla così: " Quando ho partecipato al workshop sull’illustrazione scolastica tenuto da Arianna, di scolastica non ne sapevo proprio nulla, è stata una bella scoperta! Il suo corso è stato più che arricchente: in due giorni è riuscita a elencare tutti gli aspetti di questo lavoro, portando la sua esperienza come esempio e dando le dritte per affrontarlo. Quello che ho apprezzato ed apprezzo di più in Arianna è la sincerità, l’essere concreta, spiegando non solo il lato piacevole di questo lavoro ma anche gli aspetti più pratici e “meno romantici”, come possono essere le tempistiche o la gestione economica. Sono tornata al mio lavoro, dopo il workshop, con la giusta carica e motivazione e, grazie ai suoi consigli, un anno dopo ho iniziato a lavorare proprio nel campo dell’illustrazione scolastica. Lo consiglio a chi vuole avvicinarsi a questo tipo di illustrazione ma anche a chi ha bisogno di ricaricarsi e trovare nuovi stimoli. " Anche voi avete voglia di ospitare Lo spauracchio Scolastica presso la vostra scuola o la vostra associazione? Non siate timidi, che con la timidezza basto io: scrivetemi!
CATEGORIE: VITA DA ILLUSTRATORE, SKETCHBOOK
Era moltissimo tempo che progettavo di dedicarmi al mio sito, di aggiornare il mio portfolio con qualche nuova pubblicazione, di creare un piccolo spazio differente dai social per chiacchierare e confrontarmi con chiunque ne abbia voglia. Sono felice di essere rimasta a lavoro in studio durante le vacanze estive: ogni giorno ho avuto la possibilità di ritagliarmi un momento per lavorare a questo angolino sul web, di cui sento un certo bisogno. Il lavoro dell’illustratore, infatti, per quanto meravigliosamente basato sulla collaborazione di più figure professionali e sul confronto con esse per giungere poi al prodotto finito, spesso isola al tavolo da disegno e costringe a rinunciare a qualche uscita rigenerante in compagnia e a qualche chiacchierata in più con gli amici. Di fronte a queste rinunce, di quando in quando, sarò felice di sapere che ci sarà a mia disposizione un piccolo spazio dove condividere i miei pensieri da (non più tanto) giovane illustratrice. E voi, come affrontate i momenti in cui il troppo lavoro vi fa sentire un po’ soli? (Grazie a Davide Vacca per questo still life dalla mia scrivania!) CATEGORIE: VITA DA ILLUSTRATORE
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